Trattiamo il caso di un appuntato scelto dei Carabinieri che, in ragione di un intervento di servizio del 2005, subiva lesioni gravissime. Presentata la domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e per la concessione dell’equo indennizzo nel 2006 successivamente la Commissione Medica Ospedaliera Carabinieri del Ministero della Difesa riconosceva la causa di servizio e l’equo indennizzo.
Nel 2017 il malcapitato presentava domanda di attribuzione dello status di vittima del dovere, ai sensi dell’art. 1 comma 563 e 564 Legge n. 266/05 e D.P.R. 243/06, istanza respinta nel 2019 dal Ministero dell’Interno, in quanto “tardiva, essendo stata prodotta in data 1 luglio 2017, dunque oltre il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., in combinato disposto con gli artt. 2934 e 2935 c.c., con riferimento alla data di entrata in vigore delle leggi 20 ottobre 1990 n. 302, 23 dicembre 2000 n. 388 e 23 dicembre 2005 n. 266”, con la ritenuta conseguenza che “pertanto, non si darà luogo all’avvio del procedimento, stante l’avvenuta prescrizione del diritto ad essere ritenuto “Vittima del dovere” e a ricevere i relativi benefici economici“.
L’interessato proponeva ricorso alla competente Autorità Giudiziaria per l’annullamento del provvedimento Ministeriale con conseguente riconoscimento dello status di vittima del dovere e dei relativi benefici.
Il Tribunale ha accolto pienamente le domande giudiziali confermando il recente orientamento della Suprema Corte.
L’articolo 1, commi 563 e 564, della Legge n. 266/2005 ha stabilito che:
“563. Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:
a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;
b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
d) in operazioni di soccorso;
e) in attività di tutela della pubblica incolumità;
f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità. <
564. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.
Ricevuta la domanda del ricorrente, il Ministero dell’Interno l’ha respinta senza dar luogo all’avvio del procedimento, ritenendo l’intervenuta prescrizione del diritto.
Il Giudice ha ritenuto l’eccezione di prescrizione, reiterata in giudizio, non fosse fondata.
La legge n. 266/2005, che ha esteso i benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere, è entrata in vigore l’1/1/2006, mentre il suo Regolamento attuativo, D.P.R. n. 243/2006 recante “Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell’articolo 1, comma 565, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”, è entrato in vigore il successivo 23/8/2006.
La domanda per ottenere i benefici delle vittime del dovere poteva essere presentata, pertanto, solo dopo l’entrata in vigore della legge e del suo regolamento attuativo.
Diversamente da quanto sostenuto, tuttavia, da tale data non è iniziato a decorrere il termine di prescrizione, trattandosi di diritti indisponibili.
Ai sensi dell’art. 2934 del c.c. “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti previsti per legge”.
Il diritto al riconoscimento della condizione – la legge non la qualifica “status” – di “vittima del dovere” non è disponibile per il suo beneficiario, il quale non può alienarla, rinunciarla o transigerla, né può trasmetterla ai propri eredi, i quali, piuttosto, in caso di morte del de cuius, divengono beneficiari iure successionis del solo assegno vitalizio, sicché dei meri effetti economici della condizione posseduta in vita da loro congiunto.
Il Giudice ha pertanto ritenuto di dover respingere l’eccezione preliminare della P.A. deve essere respinta, dovendosi ritenere che l’accertamento della condizione di vittima del dovere sia diritto indisponibile, ai sensi dell’articolo 2934 c.c., e, come tale, irrinunciabile e imprescrittibile, essendo soggetto al termine prescrizionale solo il beneficio economico che in essa trova il suo presupposto.
È recente l’intervento della Suprema Corte nella materia, con il quale è stata condivisa la tesi della imprescrittibilità del diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere (cfr. Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 17440 del 30/5/2022).
Ripercorsi i principi di diritto in materia, la Corte ha affrontato espressamente, per la prima volta “la questione se la categoria di “vittima del dovere” tipizzata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 563-564, costituisca uno status e sia come tale imprescrittibile, salva la prescrizione dei ratei delle prestazioni assistenziali previste dalla legge”, prendendo le mosse dal rilievo, già reiteratamente sottolineato, che le disposizioni normative citate istituiscono “un diritto di natura prevalentemente assistenziale volto a prestare un ausilio a chi abbia subito un’infermità o la perdita di una persona cara a causa della prestazione di un servizio in favore di amministrazioni pubbliche da cui siano derivati particolari rischi“, il quale “non rientra nello spettro di diritti e doveri che integrano il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”, ma “si colloca fuori e va al di là di tale rapporto, contrattualizzato o meno che esso sia, potendo riguardare anche soggetti che con l’amministrazione non abbiano un rapporto di lavoro subordinato ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio” (così Cass. S.U. n. 23300 del 2016, in motivazione, testualmente ripresa da Cass. S.U. n. 22753 del 2018).
La Corte ha osservato che si tratta, quindi, di provvidenze che trovano causa nella morte o nell’infermità permanente che abbia attinto quanti, anche indipendentemente da un rapporto d’impiego con una pubblica amministrazione, abbiano prestato un servizio a beneficio della collettività da cui siano derivati e concretizzati in loro danno particolari rischi “e dunque, come può senz’altro aggiungersi in relazione alle fattispecie espressamente tipizzate dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 563 e 564, di un servizio che a sua volta costituisce adempimento di un dovere nell’interesse della collettività (art. 2 Cost.)” (cfr. Cassazione n. 17440 del 30/5/2022, cit.).
Sicché, diversamente da quanto sostenuto dal Ministero dell’Interno, anche nel presente giudizio, non può porsi in dubbio che le provvidenze in esame rientrino nell’ambito della tutela di cui all’art. 38 Cost., poiché tale disposizione costituzionale, nel riferirsi all’idea di “sicurezza sociale” e nell’ipotizzare soltanto due modelli tipici della medesima, uno dei quali fondato unicamente sul principio di solidarietà (comma 1) e l’altro suscettibile di essere realizzato mediante strumenti mutualistico-assicurativi (comma 2), “non esclude tuttavia, e tantomeno impedisce, che il legislatore ordinario delinei figure speciali nel pieno rispetto dei principi costituzionalmente accolti” (così, Corte Cost. n. 31/1986).
Sicché “se è vero che la disciplina delle provvidenze dettate per le vittime del dovere può legittimamente considerarsi come una delle possibili “figure speciali di sicurezza sociale”, la cui ratio va individuata nell’apprestare peculiari ed ulteriori forme di assistenza per coloro che siano rimasti vittima dell’adempimento di un dovere svolto nell’interesse della collettività, che li abbia esposti ad uno speciale pericolo e all’assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli in cui può incorrere la restante platea dei dipendenti pubblici o degli incaricati di un pubblico servizio (così Cass. n. 29204 del 2021), non si possono non ravvisare nella situazione giuridica istituita dal legislatore tutti i presupposti dello status, nello specifico senso di cui dianzi s’e’ detto: valendo la categoria di “vittima del dovere” a differenziare una particolare categoria di soggetti al fine di apprestare loro un insieme di benefici previsti dalla legge e riepilogati dal D.P.R. n. 243 del 2006, art. 4” (cfr. Cassazione n. 17440 del 30/5/2022, cit.).
Resta fermo, tuttavia, che “l’imprescrittibilità dell’azione volta all’accertamento dello status di vittima del dovere non si estende ai benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto, come nella specie il diritto all’assegno mensile vitalizio L. n. 407 del 2008, ex art. 2, e all’assegno mensile vitalizio L. n. 206 del 2004, ex art. 5, comma 3, i quali – unitamente al diritto all’assistenza psicologica a carico dello Stato, all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e all’erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale dei medicinali attualmente classificati in classe “C”, L. n. 206 del 2004, ex artt. 6 e 9 – sono stati riconosciuti nel caso di specie all’odierno controricorrente nei limiti prescrizionali” (cfr. Cassazione n. 17440 del 30/5/2022, cit.).
Sulla scorta di tali considerazioni, deve riconoscersi l’imprescrittibilità del diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere, domandato dal ricorrente con istanza del 2017, mentre, in relazione ai benefici economici, che dal riconoscimento di tale status discendono, è fondata l’eccezione di prescrizione, nei limiti del termine decennale.
Riconosciuta l’imprescrittibilità del diritto al riconoscimento dello “status” di vittima del dovere, deve ulteriormente osservarsi, nel merito, come – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del Ministero dell’Interno – sia sufficiente che l’evento dannoso sia occorso, come nel caso in esame, nel contesto di un’attività intesa al contrasto della criminalità, senza che occorra la prova di un rischio specifico ulteriore.
In tal senso, la Suprema Corte ha riconosciuto che: “al dipendente della Polizia di Stato, deceduto o divenuto invalido per un incidente stradale occorsogli al rientro da un pattugliamento, va riconosciuto lo “status” di vittima del dovere, con conseguente diritto ai benefici assistenziali di cui all’art. 1, comma 563, della l. n. 266 del 2005, in quanto, ai sensi delle lett. a) e b) dello stesso comma, costituisce presupposto sufficiente per la loro erogazione che l’evento dannoso sia avvenuto nel contesto delle complessive attività intese al contrasto ad ogni tipo di criminalità o comunque nello svolgimento di un servizio di ordine pubblico, senza che occorra la prova di un rischio specifico ulteriore rispetto a quello insito negli ordinari compiti istituzionali, necessario, invece, per le ipotesi previste dal successivo comma 564, ove è richiesta l’esistenza, o il sopravvenire, di circostanze o eventi di natura straordinaria” (cfr. Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 26012 del 17/10/2018).
Accertato che il ricorrente abbia subito un trauma nel corso di un’operazione di contrasto alla criminalità, e che la patologia insorta, nel tempo aggravatasi, sia diretta conseguenza dell’evento dannoso, sussistendo contestazione in ordine alla percentuale di danno residua, è stato necessario disporre CTU medico-legale.
Al perito, Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, è stato chiesto di accertare la percentuale di invalidità complessiva residuata in capo al ricorrente e l’esito della verifica è risultato quantificabile nella misura del 25% (venticinquepercento), con stabilizzazione del complesso lesivo al 2018”.
In punto di conseguenze, l’odierno ricorrente ha diritto, quale riconosciuta vittima del dovere, a percepire la speciale elargizione prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge n. 206/2004, nella misura di legge.
Inoltre, essendosi l’invalidità riconosciuta stabilizzata, dal 2018, nella percentuale del 25%, da tale data ha diritto, altresì, all’assegno vitalizio non reversibile previsto dall’articolo 5, commi 3 e 4, della Legge n. 206/2004, soggetto alla perequazione automatica di cui all’articolo 11 del D.Lgs. n. 503/1992 e successive modificazioni, esteso con decorrenza dall’1/1/2008 alle vittime del dovere dall’articolo 2, comma 105, della Legge n. 244/2007; nonché, anche, all’assegno vitalizio non reversibile previsto dall’articolo 2 della Legge n. 407/1998, soggetto alla perequazione automatica di cui all’articolo 11 del D.Lgs. n. 503/1992 e successive modificazioni, elevato ai sensi dell’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003, esteso alle vittime del dovere dall’articolo 4, comma 1, D.R.P. 243/2006.
Quanto, specificamente, alla misura dell’assegno vitalizio previsto dall’articolo 2 della Legge n. 407/1998, in replica alle osservazioni di parte resistente, deve ritenersi che lo stesso sia stato esteso alle vittime del dovere, con l’articolo 4, comma 1, D.R.P. 243/2006, nella misura già aggiornata dall’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003 all’importo di € 500.
A tale scopo, occorre esaminare nel dettaglio la successione delle norme in materia.
L’articolo 1, comma 565, della legge n. 266 del 2005 ha previsto che: “565. Con regolamento da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinati i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze, entro il limite massimo di spesa stabilito al comma 562, ai soggetti di cui ai commi 563 e 564 ovvero ai familiari superstiti”.
Il regolamento di attuazione previsto dal citato comma 565 è stato approvato con D.P.R. n. 243/2006, il cui articolo 1, contenente le “Definizioni”, ha precisato che: “Ai fini del presente regolamento, si intendono: a) per benefici e provvidenze le misure di sostegno e tutela previste dalle leggi 13 agosto 1980, n. 466, 20 ottobre 1990, n. 302, 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e 3 agosto 2004, n. 206“.
Il successivo articolo 4 del D.P.R. n. 243/2006, rubricato “Ordine di corresponsione delle provvidenze” ha stabilito: “1. A decorrere dal 2006, alle vittime del dovere ed alle categorie a queste equiparate ovvero ai familiari superstiti, le provvidenze di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), ove non già attribuite interamente ad altro titolo, sono corrisposte in ragione della successione temporale delle leggi vigenti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, fino ad esaurimento delle risorse annuali disponibili, secondo l’ordine di cui alle seguenti lettere: a) (…) b) in relazione alla legge 23 novembre 1998, n. 407: 1) assegno vitalizio, nella misura originaria prevista di 500 mila lire, pari ora a 258,23 euro, soggetta a perequazione annua, di cui all’articolo 2, commi 1, 1-bis, 2 e 4”.
Il richiamo alle “successive modificazioni” operato dall’articolo 1 del D.P.R. n. 243/2006 non può che riferirsi, per il caso che interessa, all’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003, il quale, modificando l’articolo 2 della Legge n. 407/1998 con decorrenza dal 1/1/2004, ha stabilito: “238. Con effetto dal 1° gennaio 2004 i trattamenti mensili dei soggetti destinatari dell’assegno vitalizio di cui all’articolo 2 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e successive modificazioni, sono elevati a 500 euro mensili”.
Invero, l’esegesi delle norme sopra riportate non può che comportare la corretta interpretazione secondo la quale la Legge n. 266/2005 abbia inteso estendere alle vittime del dovere le provvidenze economiche già riconosciute dall’articolo 2 della Legge n. 407/1998 in favore delle vittime del terrorismo, nell’importo adeguato ai sensi dell’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003.
L’articolo 2 della Legge n. 407/1998 aveva, infatti, previsto la concessione, oltre ad altri benefici, di un assegno vitalizio mensile non reversibile di L. 500.000, soggetto a perequazione automatica, in favore dei soggetti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 della Legge n. 302/1990, cioè di quei soggetti che avevano subito una invalidità permanente in conseguenza di ferite riportate per atti terroristici o per fatti di criminalità organizzata, ovvero nel corso di azioni di repressione o prevenzione di tali atti o fatti.
L’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003 ha elevato l’importo di tale assegno vitalizio – già previsto nella misura di L. 500.000 – a quello di € 500 mensili.
Sicché, quando la Legge n. 266/2005, con l’articolo 1, commi 562 e seguenti, ha inteso estendere alle vittime del dovere i benefici economici già riconosciuti alle vittime del terrorismo, non poteva che fare riferimento all’importo dell’assegno vitalizio, nella misura già elevata a quella mensile di € 500, sulla scorta dell’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003, già in vigore.
Tanto che il regolamento di attuazione dell’articolo 1, commi 562 e seguenti della Legge n. 266/2005, approvato con D.P.R. n. 243/2006, che ha disciplinato i tempi e le modalità di erogazione delle provvidenze in parola, ha richiamato l’importo originariamente previsto dall’articolo 2 della Legge n. 407/1998 – fissato in € 258,23, corrispondente a L. 500.000 – solo allo scopo dell’individuazione del beneficio in questione, senza con ciò cristallizzare la misura dell’assegno stesso.
Tanto si rileva dall’articolo 1 del D.P.R. n. 243/2006, contenente le “Definizioni”, ove è chiarito che per “benefici e provvidenze” si fa riferimento, per quanto qui di interesse, a quelli previsti, tra gli altri, dalla legge “23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni”.
Ed è proprio una successiva modificazione della Legge n. 407/1998, cioè quella introdotta dall’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003, che ha elevato l’importo dell’assegno a € 500 mensili.
Sicché, è la mera lettura del combinato disposto dell’articolo 1 del D.P.R. n. 243/2006, che richiama la Legge n. 407/1998 e le sue successive modificazioni, tra cui quella introdotta dall’articolo 4, comma 238 della Legge n. 350/2003, ad imporre l’interpretazione patrocinata dalla difesa ricorrente, secondo la quale l’importo dell’assegno vitalizio riconosciuto, nel caso in esame, ai soggetti riconosciuti vittime del dovere deve essere parametrato, a decorrere dal 1/01/2004, a quello di € 500 mensili, salve successive modificazioni.
Diversamente da quanto sostenuto dal Ministero resistente, pertanto, ove il legislatore avesse voluto diversificare l’importo dell’assegno vitalizio riconosciuto alle vittime del dovere, rispetto a quello già in vigore, a quella data, per le vittime del terrorismo, avrebbe dovuto precisarlo, escludendo il riferimento alle “successive modificazioni” dell’articolo 2 della Legge n. 407/1998.
In carenza, il rinvio mobile all’articolo 2 della Legge n. 407/1998 “e successive modificazioni” impone il riconoscimento alle vittime del dovere dell’importo come modificato dall’articolo 4, comma 238, della Legge n. 350/2003.
Si conviene, d’altro canto, con il Consiglio di Stato, il quale nella sentenza n. 6156 del 20/12/2013 ha osservato che, se si accogliesse una diversa interpretazione, si verrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento tra categorie di soggetti che il legislatore ha invece inteso porre sullo stesso piano, in relazione alle conseguenze fisiche di tipo negativo riportate in occasione di violenza comune e terroristica.
Infine, si segnala, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in senso conforme alla interpretazione sopra espressa, affermando il principio di diritto secondo cui “l’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, essendo la legislazione primaria in materia permeata da un simile intento perequativo ed essendo tale conclusione l’unica conforme al principio di razionalità-equità d cui all’art. 3 della Costituzione, come risulta dal “diritto vivente” rappresentato dalla costante giurisprudenza amministrativa ed ordinaria” (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 7761 del 7/03/2017).
Inutile è stata l’istanza volta a sospendere l’esecuzione della sentenza del Giudice di prime cure perché la Corte d’Appello di Roma ha negato l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
Avv. Alessandro Corsi | Avv. Delia Pesaresi